Negli ultimi tempi è apparsa sulle testate dei nostri quotidiani, pienamente coinvolti nell’hype che si è generato attorno alle intelligenze artificiali, una notizia che può apparire quasi buffa o per taluni financo sacrilega: è possibile infatti parlare con Padre Pio attraverso un chatbot.
Ma Padre Pio non era morto oltre 50 anni fa? Certo che sì. Come possiamo allora parlare con lui? Beh la risposta in realtà è scontata: non stiamo affatto parlando con Padre Pio. Piuttosto stiamo chattando con un robot alimentato da un’IA (nel caso specifico la celeberrima ChatGPT), programmato per essere in grado di replicare i pensieri e (in parte) la sintassi del Santo.
L’idea per il progetto è nata dalla startup ImpactOn, specializzata nell’assistenza digitale ad enti religiosi, che per dare voce ad alcune delle figure più importanti della fede cattolica ha deciso di aprire un portale per permettere ai cittadini di intrattenere una conversazione con loro. Il sito si premura anche di specificare sempre che le risposte che l’interlocutore troverà non sono effettivamente discese dall’alto dei cieli, ma da un computer che ha analizzato e memorizzato tutti gli scritti ed i discorsi disponibili del venerabile.
La fede e la scienza in questo caso vanno dunque pienamente a braccetto, al contrario di quanto vorrebbe il luogo comune, ed attraverso uno strumento tecnologico eccezionale, le cui prospettive di sviluppo ci sono ancora poco chiare, è possibile avvicinare ancora di più coloro che lo desiderino alla fede o semplicemente offrire conforto e risposte a coloro che cercano un parere su questioni delicate. L’importante è non perdere di vista il punto fondamentale: le intelligenze artificiali possono darci l’idea di parlare con un defunto, ma non potranno mai sostituirsi alla nostra individualità. Il discorso è simile a quello dell’episodio “Be right back” di Black Mirror, la celebre serie TV di Netflix, un robot perfettamente identico ad un nostro amico non è comunque il nostro amico, per quanto possa essere simile a lui non potrà mai essere più di un clone. La mimesi di un’immortalità terrena non implica che ci siamo effettivamente avvicinati a questo sogno atavico ed irraggiungibile, anche se ci piacerebbe pensare che sia così. Le carni continuano, in un certo senso, a limitarci e la nostra coscienza non può che morire con esse… a meno che non divenga possibile in futuro trasferire la nostra coscienza all’interno di una macchina, cosa in realtà su cui a quanto pare alcune big-tech orientali già stanno lavorando.
Ma l’immortalità, tanto bramata dalla nostra stirpe, è davvero qualcosa di positivo per noi? Siamo sicuri che rimuovendo il più estremo ed inamovibile dei limiti la nostra vita migliorerà? Personalmente non ne sono affatto sicuro. Però resta decisamente interessante l’idea poter discorrere con grandi personalità del passato, un progresso che potrebbe essere impiegato con grandi frutti nella didattica della storia, una materia che trova sempre più difficilmente adepti in un mondo che si sente al di fuori di essa.

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