Il Bhutan è il Paese più felice dell’Asia e nei primi 10 al mondo secondo i dati raccolti da Business Week. Dovremmo quindi fidarci del loro detto che indica esplicitamente come una condizione necessaria a raggiungere la serenità e quindi la felicità il contemplare l’idea di morte cinque volte al giorno (curioso notare che anche i tempi della preghiera monastica cristiana e dell’Islam siano scanditi da cinque appuntamenti giornalieri).
Chi senza dubbio ha preso alla lettera queste parole sono gli sviluppatori dell’applicazione WeCroak che nel 2018 hanno programmato un vero e proprio memento mori digitale che ci ricorda cinque volte al giorno che dovremo morire, sempre con la massima originalità.
Certo questa attenzione verso la morte acquisisce in questo caso tutto un altro significato rispetto a quello che l’Occidente le ha generalmente conferito. Il memento mori ha infatti origine nell’antichità quando i generali vittoriosi dell’antica Roma erano accolti in patria tra gli onori ma anche col motto “Respice post te. Hominem te memento” (“Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo”). L’apice della sua diffusione è stata poi invece raggiunta durante il periodo barocco, un esempio sono le varie “nature morte”, quando questo concetto era utilizzato per rimarcare la fugacità del tempo e l’immanenza del giudizio divino.
La società dell’Occidente contemporaneo post-positivista è invece terrorizzata dall’idea della morte, un evento ineluttabile e necessariamente drammatico contro il quale le meraviglie della scienza nulla possono, se non guadagnare un po’ di tempo. Eppure la morte è naturale ed è una parte inscindibile ed essenziale della nostra vita. Limitarsi a rifuggire ogni pensiero che la riguardi non è del tutto sano, ma in un certo qual modo è normale: uno studio ha addirittura dimostrato che indurre il pensiero della morte in qualcuno molto probabilmente lo porterà a divagare verso pensieri felici, aumentandone quindi in definitiva la serenità. La morte ci aiuta a riflettere su quanto sia preziosa la nostra vita, ed in effetti non stupisce che ancora una volta sia un limite ad evidenziare l’importanza di ciò che è limitato, un po’ come quando si dice “non si conosce la vera importanza di una relazione finché questa non giunge alla termine”.
Viviamo di stimoli e reazioni e la nostra reazione alla morte è pensare alla vita, un concetto che diamo spaventosamente per scontato troppo spesso, finalmente come un dono. Viviamo in un’epoca in cui c’è un’app anche per ricordarci di gustare appieno ciò che abbiamo; “di doman non c’è certezza”, un tempo ce lo dicevano gli artisti, oggi anche questo compito è affidato agli smartphone.
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